Il 27 luglio 2024 nascerà ufficialmente il Giardino dei Giusti del Ruanda, il primo nell’Africa sub-sahariana. Alla sua inaugurazione parteciperà anche Alice Wairimu Nderitu, Consigliere Speciale delle Nazioni unite per la prevenzione dei genocidi, e i famigliari e i rappresentanti dei Giusti onorati.
Totem Giardino dei Giusti in Rwanda a kamonyi
Il Giardino sarà la memoria viva di quelle donne e quegli uomini che hanno messo a rischio la propria vita per salvare persone durante il genocidio del 1994, esattamente trent’anni fa, proteggendo persone tutsi e hutu moderati dalle violenze perpetrate da criminali appartenenti alla maggioranza hutu. Questi individui, spesso a grande rischio personale, hanno nascosto persone nelle loro case, fornito rifugio e aiuti, e talvolta negoziato con i perpetratori per la vita dei perseguitati.
Il progetto del Giardino dei Giusti in Ruanda è frutto dell’incontro tra la Fondazione Gariwo, Bene Rwanda Onlus e il partner locale SEVOTA (Solidarity for the Development of Widows and Orphans to Promote Self-Sufficiency and Livelihoods).
L’idea della creazione del Giardino ha radici lontane, che risalgono ai primi anni di attività di Fondazione Gariwo, ma che ha preso vita dall’incontro di Gabriele Nissin, presidente di GAriwo con Francoise Kankindi, presidentessa di Bene-Rwanda, e Godelieve Mukasarasi, onorata come Giusta al Giardino di tutto il mondo di Milano nel 2022.
Fondatrice di SEVOTA, Godelieve Mukasarasi è una delle 500 mila donne ruandesi vittima di uno stupro di guerra. Nonostante le minacce l’uccisione di sua figlia e di suo marito, scelse di testimoniare nel processo Akayesu, contribuendo alla prima condanna al mondo per genocidio. SEVOTA riunisce 80 associazioni con oltre 2000 membri e promuove la riconciliazione tra hutu e tutsi. Tra le iniziative in cui è maggiormente impegnata c’è l’assistenza medica per le sopravvissute alla violenza sessuale durante il genocidio.
La scelta di unire attività incentrate sull’educazione alla memoria e le attività quotidiane dI SEVOTA a favore delle vedove, donne stuprate e orfani, crea una stretta connessione tra le storie di coraggio e di rispetto della dignità umana dei Giusti e la forza delle testimonianze delle donne di SEVOTA che durante il processo di Arusha hanno contribuito alle condanne per stupro, considerato una componente della prima condanna per genocidio. Inoltre, la creazione di un Giardino dei Giusti con sede a Sevota riconosce il ruolo fondamentale delle donne ruandesi nell’opera di riconciliazione e costruzione della pace dopo aver testimoniato presso le corti penali internazionali.
Il simbolo del Giardino dei Giusti dell’Umanità di Kamonyi sarà l’”albero rosso” umurinzi, una pianta al centro della cultura ruandese il cui nome significa guardiano della vita.
I primi Giusti onorati al Giardino saranno:
Raphael Lemkin. Ebreo polacco, ideatore della definizione di genocidio, ha ricordato al mondo che la prevenzione di tali crimini è responsabilità dell’umanità intera. Ha dedicato tutti i suoi sforzi, contattando personalmente i leader mondiali nelle loro lingue, all’approvazione di una convenzione contro il reato internazionale di genocidio, da lui redatta e approvata il 9 dicembre 1948 dall’Onu.
Pierantonio Costa. Imprenditore e console onorario d’Italia in Ruanda, nel 1994 salvò quasi 2.000 persone (di cui 375 bambini) durante il genocidio dei tutsi in Ruanda. Creò false liste di persone “sotto la protezione del Governo italiano” e spese tutto il denaro a disposizione per mettere in salvo chi era in pericolo.
Maria Urayeneza. Durante il genocidio dei tutsi, Maria e il marito Silas Habiyambere, parenti del prefetto di Cyangugu, rischiarono la vita per proteggere e salvare molti tutsi, nascondendoli nella loro casa e nei pressi della struttura. Maria inoltre intraprese viaggi pericolosi per accompagnar i fuggitivi, mentre Silas negoziava con i persecutori per liberare le vittime. Tra i sopravvissuti grazie a Maria e Silas c’è lo scrittore e insegnante Jean Paul Habimana.La cerimonia
Il Giardino dei Giusti dell’Umanità a Kamonyi, primo in Ruanda, sarà inaugurato sabato 27 luglio. La cerimonia inizierà alle ore 16 con il discorso di Godelieve Mukasarasi, fondatrice e presidentessa di SEVOTA.
La cerimonia si svolgerà alla presenza delle istituzionali locali e con la partecipazione speciale del Consigliere Speciale ONU per la prevenzione dei genocidi Alice Wairimu Nderitu, in rappresentanza del giurista Raphael Lemkin che ha coniato la parola genocidio.
Parteciperanno i familiari di Pierantonio Costa e la Giusta onorata Maria Urayaneza. Sarà presente anche Jean Paul Habimana, scrittore, insegnante e sopravvissuto al genocidio proprio grazie al coraggio di Maria e della sua famiglia.
La Fondazione Gariwo sarà rappresentata da Benedetta Macripò mentre Francoise Kankindi parteciperà per Bene Rwanda.
Le attività di educazione alla pace legate alla creazione del Giardino dei Giusti si svolgeranno con la collaborazione delle istituzioni nazionali come il Ministero dell’Unità Nazionale e Civic Engagement (MINUBUMWE) e collaborazioni con altri partner come AEGIS Trust Ruanda, per prevenire una cultura di odio.
In occasione del Trentennale del Genocidio dei Tutsi e degli Hutu moderati in Rwanda, Bene Rwanda Onlus, con il supporto di CGIL e la moderazione di Marco Trovato, Direttore editoriale della rivista Africa, ha organizzato il 12 aprile scorso un evento aperto a tutti gli Istituti Superiori di Roma, in cui sono stati ricordati i tragici avvenimenti di quei circa cento giorni del 1994, dal 7 aprile, in cui furono uccisi un milione di cittadini rwandesi tutsi e hutu moderati.
In apertura i saluti e la presentazione del Segretario della Fillea CGIL Roma e Lazio, Ermira Behri cui sono seguite le testimonianze degli ospiti. Françoise Kankindi, Presidente di Bene Rwanda Onlus, ha ricordato e spiegato gli eventi storici che dal 1959 hanno creato le condizioni per il genocidio del 1994 e la sua storia di rwandese nata in Burundi e immigrata in Italia, che ha dovuto assistere da lontano agli stravolgimenti orribili del suo Paese.
L’evento acquista forza attraverso le preziose testimonianze di Gerard Munyehirwe, sopravvissuto e profugo, giunto ancora bambino in Italia, di Yolande Mukagasana, sopravvissuta e portavoce, anche grazie ai suoi libri “La morte non mi ha voluta” e ” Le ferite del silenzio”, dell’efferata crudeltà cui ha dovuto assistere e vivere sulla propria pelle e su quella della propria famiglia.
Yolande Mukagasana racconta l’orrore in un perfetto francese, quasi musicale, benché sia la lingua di quella Francia che, attraverso il suo presidente di allora, Francois Mitterrand, condusse una politica favorevole al “nuovo governo” degli Hutu. Tradotta simultaneamente da Francoise Kankindi, Yolande colpisce il cuore, lo strizza come una spugna, perché quelle vite normali, fatte di amore materno e paterno, di legami di amicizia e di buon vicinato, di figli che dovrebbero andare a scuola e giocare, di lavoro, di pasti condivisi, vengono scardinate e annientate, segnate per sempre o interrotte, sgretolando un domani che appare inesistente, neanche più immaginabile.
E là, in quel momento, quando la rabbia e l’odio dovrebbero prendere il sopravvento, Yolande parla di perdono, del bisogno di incontrare e conoscere chi ha commesso quegli atti, chi ha ucciso e distrutto. Il bisogno di sapere e guardare negli occhi l’anima di chi ha trovato il coraggio di cancellare l’umanità dal proprio essere. E’ da là che si ricostruisce, dagli occhi e dalle parole a volte interrotte dall’emozione e dal dolore del ricordo di Yolande, di Gerard, di Francoise, di chi come loro ha avuto la forza e il coraggio di spiegare la Vita, perché ha conosciuto una Morte più profonda di quella che tutti conosciamo.
L’evento ha proseguito con il discorso incisivo e ruvido di Moni Ovadia sulla coscienza e l’autocritica, su quanto assurdo sia stato quel “never again” pronunciato dopo la Shoa, se continuiamo ad assistere ad altri genocidi, ovunque nel Mondo, senza scuotimento interiore, senza intervenire, senza capire che tutto ciò che accade non dipende dagli Altri, ma da Noi, perché ognuno con le proprie scelte e le proprie azioni, può cambiare la vita di qualcun altro e il corso della Storia. La consapevolezza e la coscienza di sé e di ciò che accade rappresenta l’unica vera alternativa all’offuscamento e all’ottundimento della mente, all’ignoranza, all’idea della Diversità e dell’Altro, come entità altra, aliena, nell’antico significato latino di “straniero”. Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Fondazione Gariwo, prosegue con il suo intervento sui Giusti e l’importanza della memoria del Bene, perché sia sempre la luce che illumina la strada corretta, cosa difficile da percorrere per l’Uomo di tutti i tempi.
L’evento si è concluso con un ultimo intervento, quello di Eric Manzi, Vice Segretario Generale della Confederazione Internazionale dei Sindacati, che ha affrontato l’argomento lavoro e giustizia sociale.
L’ attualizzazione di un evento avvenuto 30 anni fa, e che si sta ripetendo oggi in Palestina, ha visto la partecipazione attiva degli studenti presenti, preoccupati di comprendere la Storia passata, e non solo quella egocentrica e autoreferenziale europea, per sviluppare una propria coscienza critica e divenire parte attiva nella lotta continua per i diritti dei più deboli, per gli ideali di uguaglianza e libertà , perchè nella vita di tutti può accadere di svegliarsi una mattina, una qualunque, e trovare chi ha stabilito per noi se e come dovremo vivere o morire.
La Storia insegna. O perlomeno dovrebbe. Speriamo. Intanto, oggi, 25 aprile, i palestinesi ammassati a Rafah, sul confine sud di Gaza con l’Egitto, attendono un altro attacco da parte dell’esercito israeliano. La Storia insegna. O almeno dovrebbe. Speriamo.
12 aprile 2024, Sala Di Vittorio, Corso d’Italia 25, ore 9.30
Nell’estate del 1994, in Rwanda si consumava una delle più grandi tragedie della storia moderna: nel giro di tre mesi, tra il 6 aprile e il 19 luglio 1994, un milione di cittadini Tutsi e Hutu moderati venivano trucidati dagli estremisti appartenenti alla maggioranza Hutu. Un omicidio ogni dieci secondi avveniva sotto gli occhi indifferenti della comunità internazionale che ignorò le invocazioni d’aiuto del Generale Dallaire, comandante della missione di pace dell’Onu.
Programma
9:30-10:00: Apertura giornata e saluti dal Segretario della Fillea CGIL Roma e Lazio
10:00-10:30: Introduzione storica, Francoise Kankindi, Presidente Associazione Bene Rwanda Onlus
10.30-11:15: Le Ferite del silenzio, Yolande Mukagasana, scrittrice sopravvissuta al genocidio, scrittrice e vincitrice della menzione Unesco per l’educazione alla pace.
11.15-11:45: La coscienza e l’autocritica, Moni Ovadia, attore, cantante e scrittore
11.45-11:30: I giusti e la memoria del bene, Gabriele Nissim, scrittore PresidenteGariwo
12.30-13.00: Il lavoro e la giustizia sociale,Eric Manzi, vice Segretario Generale della Confederazione Internazionale dei Sindacati (CSI), ex Segretario Generale della Confederazione dei Sindacati del Ruanda (CESTRAR)
13.00-13.30: conclusioni del Segretario/a Confederale della CGIL.
Modera Marco Trovato, Direttore editoriale Rivista Africa
SOSTEGNO E RECUPERO DEI BAMBINI COLPITI DALLA MALNUTRIZIONE
Grazie al contributo finanziario di Anna Zambon nel finanziare il progetto di lotta contro la Sindrome da malnutrizione infantile estremamio (kwashiorkor), l’equipe diretto Gashugi Mathieu Cesar, medico nutrizionista a Munini, il più grande ospedale della regione del Sud del Rwanda ha potuto:
assistere 39 bambini malnutriti e 5 donne che allattano.
curare 20 bambini afflitti da malnutrizione cronica.
Fornire cibo proteici a 15 bmbini sottopeso
guarire 4 bambini dalla malnutrizione acuta grave
Inoltre sono stati sostituiti alcune attrezzature da cucina usurati.
I bambini e le mamme del villaggio di Remera situato nella cella GATOBOTOBO, settore Mbazi, distretto di Huye, provincia meridionale, Repubblica del Ruanda ringranziano per il continuo sostegno.
Quest’anno, ho participato alla settimama della Memoria portando la mia testimonianza del genocidio dei Tutsi del Rwanda, è stato davvero emozionante condividere coi ragazzi la mia storia. Grazie Giorgia Tonello e gli altri insegnanti nell’avermi coinvolto.
Di seguito la circolare con il programma.
«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le
coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre» (Primo Levi)
In occasione della Giornata della Memoria, l’Istituto Mario Lodi promuove, per l’intera settimana, una serie
di iniziative rivolte a tutte le classi della scuola secondaria:
CLASSI PRIME
visione del film “Anna Frank e il diario segreto”
• 26 gennaio
CLASSI SECONDE
incontro su “Un giorno la mia stella brillerà” sulla storia di Liliana Segre, tenuto dalla docente Irma
Staderini
• 24 gennaio
• 25 gennaio
• 31 gennaio
CLASSI TERZE
incontro con Françoise Kankindi, presidente dell’associazione Bene Rwanda, figlia del primo genocidio dei Tutsi in Rwanda
• 23 gennaio
• 27 gennaio
• 2 febbraio
Le iniziative sono gratuite e si svolgeranno in orario curricolare antimeridiano nei locali della scuola.
Il percorso di riflessione si concluderà il 27 gennaio con una mostra dal titolo NOI SIAMO MEMORIA,
dove i ragazzi esporranno i propri lavori, realizzati durante la settimana.
Tutti i docenti e gli studenti dell’Istituto sono invitati a partecipare.
SOSTEGNO E RECUPERO DEI BAMBINI COLPITI DALLA MALNUTRIZIONE
In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, il senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri.» (Nelson Mandela, novembre 2008[1]). Nella lingua Rwandese, la parola Ubuntu è ampiamente usata con la stessa accezione, umuntu vuol dire essere umano e ubuntu vuol dire umanità.
Dopo aver passato più di un ventennio a portare conoscenza e testimonianza sul genocidio della nostra gente, i Tutsi del Rwanda, sentiamo ora la necessità di portare il nostro aiuto e supporto ai più bisognosi, le donne e i bambini dei villaggi di Butare, la seconda città del Rwanda.
Un anno fa, ho chiesto alla mia carissima amica Anna Zambon di finanziare il progetto di lotta contro la sindrome da malnutrizione infantile estrema (kwashiorkor) diretto da mio fratello Gashugi Mathieu Cesar, medico nutrizionista a Munini, il più grande ospedale della regione del Sud del Rwanda.
Il progetto è iniziato in aprile 2021 con un piccolo budget di 300€ mensile che sono poi diventati 600€ a seguito degli aumenti dovuti alla crisi del grano, vengono presi in carico bambini, mamme allattanti e ragazze madri con l’obiettivo di fornirli un supporto alimentare che li faccia uscire dalla malnutrizione cronica.
Attraverso le attività di recupero nutrizionale con ill programma “Early Children Development”, da aprile a giugno, sono stati presi in carico:
89 bambini sotto i cinque anni sono stati presi in carico.
undici bambini sono stati seguiti per malnutrizione cronica (ritardo di crescita), 2 per malnutrizione acuta, 12 per sottopeso.
14 bambini hanno riacquistato uno stato nutrizionale normale, con un tasso di guarigione del 56%.
Considerato l’interesse dell’attività manifestato dai genitori, non abbiamo registrato alcun caso di abbandono.
alla fine di giugno, c’eranno ancora 11 bambini con malnutrizione cronica.
alla fine di settembre 2021 sono stati dimessi una ventina di bambini poiché hanno raggiunto l’età scolare.
I piccoli vengono accolti con giochi e canzoni mirati al risveglio psico-emotivo e socializzazione prima di somministrarli un pasto a base di porridge arrichito di proteine.
Risorse coinvolte
un nutrizionista volontario
2 assistenti sociali
il mulino per la macinazione di cereali e tuberi
spazi di apprendimento nutrizionale
adetto al mulino e guardiano
Dopo solo due mesi i bambini presi in cura hanno avuto un miglioramento, 91 % hanno acquisito 1 kg in pù, 9 % hanno mantenuto il loro peso, nessuno è calato di peso. Ai bambini che non hanno guadagnato peso sono stati somministrati le pastiche contro i vermi parasitari e la vitamina A forniti dal centro medico del villaggio col quale si è istaurato un’ottima collaborazione.
CONTESTO
Nonostante l’apprezzabile sviluppo socio-economico che il Rwanda sta vivendo da tempo, persiste tuttavia una malnutrizione cronica del 33% tra i bambini sotto i 5 anni. Riferimento fatta durante « Demographic Health statistic » del 2019-2020 (“Statistica di salute demografica”). Il governo del Ruanda attraverso i ministeri sociali (MoH, MIGEPROF, MINALOC) e altri partner per lo sviluppo, ha implementato interventi e iniziative olistiche che migliorano lo stato nutrizionale di gruppi vulnerabili come bambini sotto i cinque anni, donne in gravidanza e in allattamento. Ha anche lavorato per costruire delle comunità auto-resilienti per dare potere alle donne, sostenere orfani e bambini vulnerabili. L’Associazione “Bene-Rwanda”Onlus intende sostenere queste direttive delle autorità ruandesi per sostenere i bambini, le donne incinte e in allatamento attraverso il progetto intitolato “Turikumwe” che significa siamo con voi.
OBIETTIVO PRINCIPALE
Migliorare lo stato nutrizionale dei bambini e delle famiglie vulnerabili
OBIETTIVI SPECIFICI
1. Rendere disponibile il supporto nutrizionale ai bambini cronicamente malnutriti di età compresa tra 6 e 59 mesi, nonché alle donne incinte e che allattano, in collaborazione con gli operatori sanitari delle comunità locali.
2. Fornire un’educazione alimentare alle famiglie con bambini affetti da qualsiasi forma di malnutrizione al fine di determinare un profondo cambiamento nei comportamenti in termini di abitudini alimentari sfavorevoli alla buona salute
OBIETTIVI IN PROSPETTIVA
1. Fornire formazione e materiali di base nelle attività generatrici di reddito alle ragazze-madri e alle donne capofamiglia e ad altre persone vulnerabili al fine di portarle all’integrazione socio-economica nei loro villaggi.
2. Sviluppare campi per l’apprendimento di metodi agricoli moderni al fine di condurre le famiglie a praticare un’agricoltura razionale che fornisca cibo che porti a pasti equilibrati.
3. Costruire il più grande centro nutrizionale della regione con l’obiettivo di divulgare il più possibile le buone pratiche e insegneamenti contro la sindrome di malnutrizione cronica, kwashiolkor.
BENEFICIARI
Bambini identificati come malnutriti (qualsiasi forma di malnutrizione): 189
Orfani e bambini vulnerabili: 32
Madri single e donne capofamiglia: 12
LUOGO DI AZIONE
Villaggio di Remera situato nella cella GATOBOTOBO, settore Mbazi, distretto di Huye, provincia meridionale, Repubblica del Ruanda.
Il report delle attività di recupero nutrizionale per il mese di luglio 2021 attraverso il programma “Early Children Development”:
78 bambini sotto i cinque anni sono stati presi in cura.
7 bambini sono stati seguiti per malnutrizione cronica (ritardo di crescita)
Non è stato registrato casi di malnutrizione acuta moderata mentre 4 bambini sono risultati sotto peso
Abbiamo registrato un tasso di guarigione del 71%
Abbiamo registrato 8 abbandoni a seguito del confinamento conseguente al Covid19.
Il grande evento del mese di agosto 2021 è stata la guarigione di un bambino colpito dal kwashiorkor. Questa forma di malnutrizione acuta è caratterizzata da una prolungata assenza di proteine nella dieta. Grazie al porridge ricco di proteine, ha riacquistato il normale stato nutrizionale. Sua madre è molto grata oggi. Credeva che suo figlio fosse vittima di avvelenamento. Abbiamo preso in cura 71 bambini, 7 sono stai messi fuori pericolo e si stanno preparando per il prossimo anno scolastico.
A settembre e ottobre 2021 sono stati presi in carico 86 bambini. 79 sotto i 5 anni e 6 sopra i 5 anni di cui 1 caso di malformazione con segni di ritardo mentale. 7 bambini erano sottopeso e 11 erano cronicamente malnutriti.
I mesi di novembre e dicembre sono proseguiti le attività nutrizionali , 61 bambini hanno potuto beneficiare del nostro sostegno.
Grazie ancora Anna Zambon per aver sostenuto questi bambini ai quali contribuisci a un futuro migliore, il nostro profondo augurio è che vivi in eternità e che la tua umanità possa ispirare molte altre persone.
Giovedi 3 marzo 2022 verrà celebrata la Giornata dei Giusti e verranno nominati i nuovi Giusti nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo al Monte Stella e Palazzo Marino a Milano
Bene Rwanda, che da anni collabora con Gariwo, ha appoggiato la candidatura di Godeliève Mukasarasi nata nel 1956 a Gitarama, nel distretto di Muhanga, dove lavorò nel campo del sociale per 25 anni, si trasferì a Taba dopo il matrimonio con Emmanuel Rudasingwa, un tutsi con il quale ha avuto figli.
Godelieve Mukasarasi
Durante il genocidio sua figlia venne violentata dai militari Interahamwe, per questo motivo Godelieve e suo marito furono chiamati a testimoniare presso il Tribunale Penale Internazionale (ICTR) ad Aruha nella causa contro l’ex sindaco di Taba Jean-Paul Akayesu, che non aveva protetto adeguatamente i suoi cittadini. Poco prima di testimoniare, il marito Rudasingwa e sua figlia furono uccisi da un gruppo armato hutu. Superando l’intimidazione da parte di alcuni membri della sua comunità e l’omicidio di sua figlia e del marito, ha testimoniato lei stessa e ha aiutato vari testimoni a deporre contro Akayesu, condannato nel 1998.
Durante i terribili cento giorni del genocidio del 1994, Taba fu lo scenario di alcuni dei più cruenti massacri commessi dagli hutu verso i tutsi, in particolare dalla milizia paramilitare Interahamwe che stuprò e uccise centinaia di tutsi negli uffici governativi. Anche la figlia di Godeliève venne stuprata.
Il sindaco di Taba era Jean-Paul Akayesu, un maestro e ispettore scolastico responsabile della gestione della polizia comunale. Akayesu non solo non impedì la furia delle milizie ma partecipò attivamente, come supervisore, a diverse esecuzioni. Inoltre compilò una lista che consegnò ai cittadini di etnia hutu affinché andassero di casa in casa alla ricerca dei concittadini tutsi.
Immediatamente dopo il genocidio, Godeliève decise di utilizzare il suo background nel lavoro sociale per creare un’organizzazione che si preoccupasse di soddisfare i bisogni delle donne e dei bambini rimasti senza protezioni. Nacque così SEVOTA, un’organizzazione che ancora oggi lavora, attraverso uno staff di professionisti, per promuovere la riconciliazione tra hutu e tutsi e diffondere una cultura di pace e non violenza tra le vedove e gli orfani di guerra.
Convinti che la riconciliazione dovesse passare attraverso il riconoscimento dei crimini e dei perpetuatori, Godeliève e suo marito si impegnarono sin da subito nel cercare giustizia per i sopravvissuti. In un momento in cui il Paese era ancora succube dell’instabilità politica e della violenza armata, nel 1996 accettarono di testimoniare davanti al Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR), l’organo creato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per giudicare i responsabili del genocidio. Accettarono di testimoniare nel caso inaugurale del processo, che si sarebbe tenuto proprio contro il loro sindaco Akayesu, che nel frattempo era stato arrestato in Zambia.
Poco prima di apparire davanti alla corte, sua figlia e suo marito Emmanuel vennero assassinati da una milizia armata. Nonostante il dolore e le minacce che ricevette in seguito, Godeliève ebbe la forza di trovare altre quattro persone che con coraggio accettarono di testimoniare contro Akayesu.
Iniziò così un percorso processuale molto complesso. Akayesu aveva su di sé quindici capi di imputazione per genocidio e crimini contro l’umanità, compreso lo stupro, e violazioni della Convenzione di Ginevra. Per i suoi difensori, Akayesu non aveva preso parte agli omicidi né avrebbe avuto il potere per fermarli: sostenevano che il loro assistito era stato trasformato in un capro espiatorio che avrebbe dovuto pagare i crimini commessi da tutta la popolazione di Taba.
Martedì 15/02/2022 la Corte di Cassazione di Parigi ha archiviato questo fascicolo confermando l’archiviazione dell’indagine aperta dal giudice Jean Louis Bruguière e che aveva portato al deterioramento dei rapporti tra Parigi e Kigali. Quest’ultimo accusava i soldati dell’RPF, aveva firmato mandati di cattura nei loro confronti e nel 2006 aveva raccomandato un procedimento contro il presidente Kagame davanti al Tribunale penale internazionale per il Ruanda.
Gli avvocati difensori, in un comunicato stampa, hanno salutato una vittoria giudiziaria finale per i soldati ruandesi ingiustamente accusati. Quanto ai familiari delle vittime, non potranno più ricorrere, dopo la decisione finale della Corte di Cassazione. Prima o poi la verità finisce sempre per trionfre e come una volta disse Kagame, “les faits sont tetus” cioè i fatti sono cocciuti!
Foto scattata nel 1994 da JEAN MARC BOUJOU mostra un soldato davanti al relitto dell'aereo in cui morì l'allora presidente ruandese Juvénal Habyarimana.
Alcuni anni or sono, ebbi la preziosa occasione di incontrare la grande testimone del genocidio ruandese dei Tutsi, Yolande Mukagasana, una donna straordinaria. Il privilegio di quell’incontro si trasformò in un’amicizia che continua ancora oggi. Yolande è autrice di un memoriale di eccezionale valore Not my time to die, tradotto in italiano con il titolo indovinato di La morte non mi ha voluto.
In questa opera racconta della sua terrificante esperienza che fortunatamente sfociò in un esito positivo. Nel corso di una delle volte che ebbi occasione di vedere Yolande, notai che portava come ciondolo una stella di Davide. La cosa mi incuriosì e le chiesi se per caso fosse ebrea. La sua risposta fu uno dei primi stimoli che mi spinse a dare vita ad un progetto che desse voce alle memorie di tutte le genti e di tutti gli uomini che sono stati vittime di genocidi, stragi di massa, persecuzioni sistematiche. Yolande rispose che quel ciondolo gli ricordava che anche loro, i Tutsi, dovevano fare come gli ebrei, costruire un edificio della Memoria. La cultura della Memoria nasce in ambito ebraico già dai tempi biblici: nella narrazione dell’Esodo, Amalek, capo di una banda di Edomiti, attaccò gli Ebrei proditoriamente per annientarli. Nella tradizione ebraica, questo personaggio è considerato un progenitore di Adolf Hitler ancorché apparentato con gli Ebrei in quanto discendente di Esaù.
Per quell’episodio di tentato annientamento di tutti gli Ebrei per la sola ragione dell’odio contro di essi, il biblista lancia il monito: «Yizkor!», «Ricorda!».
Questo precedente nella propria narrativa identitaria, spirituale e culturale, ha permesso al mondo ebraico di edificare un poderoso edificio etico che si fonda sul valore e il potere della Memoria. In seguito all’immane catastrofe distruttiva occorsa agli Ebrei nel corso del secondo conflitto mondiale, il progetto della Memoria ha permesso loro di uscire – per quello che era possibile – dall’immane trauma anche grazie all’impetuosa diffusione dei mezzi di comunicazione, di trasmissione e di memorizzazione digitale.
Yolande alla settimana della Memoria a Ferra
Il magistero ebraico, nel corso dei decenni, ha fatto scuola. Anche volendosi limitare ai crimini perpetrati dai nazifascisti, il progetto di annientamento ha colpito i menomati, i primi a conoscere lo sterminio sistematico, i Rom e i Sinti destinati anch’essi allo sterminio totale e negli stessi lager destinati agli ebrei, gli slavi, gli antifascisti di qualsiasi appartenenza, i Testimoni di Geova, gli omosessuali, gli emarginati, i disabili e tutti coloro che non rientravano nella visione di «purezza» etnica e razziale concepita dai nazisti. Da che il dovere della memoria diventa sentimento diffuso nel mondo occidentale, la Shoah ne prende il centro e la quasi totalità delle manifestazioni che si diffondono nelle città, nelle nazioni, nelle scuole. Una vastissima messe di pubblicazioni sull’argomento sono state date alle stampe, sono stati girati decine e decine di pellicole, prodotti spettacoli teatrali, concerti.
La memoria ebraica ha fatto aggio sulle altre, ma negli ultimi anni altre memorie bussano legittimamente alla porta dell’attenzione e del riconoscimento e presso le persone più sensibili, cresce l’attenzione verso altri genocidi, stermini di massa e persecuzioni che hanno visto la loro sinistra luce prima e dopo la Shoah.
Alcune associazioni, fra le quali per esempio Amnesty International, il Tribunale Russel, – solo per fare degli esempi – hanno fatto un grande lavoro, ma negli ultimi anni, è nata un’associazione di grande importanza, la Gariwo, fondata da Gabriele Nissim che ha portato all’universalità l’istituzione dei «Giusti fra i popoli» aprendo un orizzonte straordinario nel cammino verso la pace nella giustizia.
La Gariwo ricorda e pianta alberi in memoria di ogni giusto che, a proprio rischio e pericolo, salvò esseri umani di qualsiasi origine e nazione dal pericolo di sterminio ad opera di assassini di qualsivoglia origine. L’esempio di Gabriele Nissim è stato fonte di grande ispirazione per me e ha influito sulla mia decisione di dare vita, nel Teatro Comunale di Ferrara Claudio Abbado, alla Settimana delle Memorie.
Fino al 30 gennaio ricorderemo l’unicità della Shoah che avrà due giornate e tre iniziative dedicate. Ma anche il genocidio degli Armeni, l’ininterrotta persecuzione del popolo curdo, il genocidio dei Rom, il genocidio dei Tutsi. Lo faremo con incontri, recital, concerti musicali e spettacoli teatrali.
Gabriele Nissim e io, entrambi ebrei, abbiamo interpretato il giuramento fatto sulle ceneri di Auschwitz «Mai più!», come «ciò che è stato non deve mai più capitare a nessun essere umano». Pensiamo che pur nel riconoscere la specificità di ogni crimine e l’unicità della Shoah che non va certo banalizzata o omologata, non ci possano essere graduatorie nel dolore.
Venerdì 17 dicembre e in replica sabato 18 dicembre alle 21.00, all’Auditorium della Nuvola, a Roma, Internazionale è andata in in scena in un ‘edizione straordinaria del settimanale che si sfoglia dal vivo, con parole, immagini, video e musica dove la scrittrice Yolande Mukagasana è interventuta nel rittratto La morte non mi ha voluta
“Ho visto e vissuto l’apocalisse del genocidio in Ruanda che ha portato via tutto ciò che amavo e tutto ciò che ero. Ma ho visto anche il perdono e la riconciliazione dopo l’orrore.”
Yolande & Françoise in scena
SOMMARIO
L’EDITORIALE
Parole
Giovanni De Mauro
ATTUALITÀ
La foresta ghiacciata
Una storia di migranti, bisonti e filo spinato alla frontiera tra Bielorussia e Polonia.
Annalisa Camilli
AMBIENTE
L’uomo dei lupi
Come un ex campione di sci ha incontrato l’amore nei boschi della Val Lessinia e ha imparato a ululare.
Fulvio Valbusa
REPORTAGE
Fuga per la vittoria
“Siamo nei guai, potete aiutarci?”. Comincia così l’operazione per salvare le calciatrici afgane dopo l’arrivo dei taliban a Kabul.
Stefano Liberti
PORTFOLIO
Le pillole della felicità
L’industria farmaceutica promette alle persone che c’è una risposta semplice e veloce alla loro ricerca della felicità. Un’inchiesta dal Niger agli Stati Uniti.
Paolo Woods
RITRATTO
La morte non mi ha voluta
“Ho visto e vissuto l’apocalisse del genocidio in Ruanda che ha portato via tutto ciò che amavo e tutto ciò che ero. Ma ho visto anche il perdono e la riconciliazione dopo l’orrore.”
Yolande Mukagasana
POP
Che follia innamorami di te
Gabriela ha un marito, una moglie, due figli e un letto di tre metri e mezzo. Si sente la rockstar del poliamore, ma la realtà è molto più complessa degli ideali.
Gabriela Wiener
RUBRICA
L’oroscopo di Rob Brezsny
Una rilettura segno per segno.
Claudio Morici
SOCIETÀ
L’arte di essere libere
Un inno femminista contro la violenza di genere e lo stupro che dal Cile si è diffuso in tutto il mondo. La performance Un violador en tu camino.
Adeline Raynal e le studenti del Liceo Cannizzaro, dell’IIS Alberti e del Liceo Vivona di Roma
La 27° Giornata della Memoria del Genocidio dei Tutsi sarà segnata dal rapporto della Commissione Duclert consegnato al Presidente Francese, Emmanuel Macron, venerdì 26 marzo 2021, in merito al ruolo di Parigi nel genocidio contro i Tutsi in Ruanda, le cui conclusioni rivelano la pesante e schiacciante responsabilità della Francia in questo crimine contro l’umanità.
Il rapporto denuncia l’esistenza di pratiche amministrative irregolari, di catene parallele di comunicazione e persino nel comando che bypassano le procedure legali e atti di intimidazione nell’attuazione di una politica tesa allo sterminio dei Tutsi del Rwanda, percepiti come minacia all’egemonia francese nella regione dei grandi laghi.
Il Presidente François Mitterrand e la sua cerchia ristretta hanno una grande responsabilità in questo genocidio ma ci ha voluto più di un quarto di secolo perché i suoi successori lo riconoscessero.
Il presidente François Mitterrand e la sua cerchia ristretta furono i primi negazionisti e revisionisti del genocidio perpetrato contro i tutsi, hanno volutamente aperto la strada alla teoria del doppio genocidio per mascherare i loro crimini nell’aver appoggiato il regime genocida del loro protetto Presidente Juvenal Habyarimana.
La responsabilità del presidente François Mitterrand e il suo entourage sono travolgenti, soprattutto quello di Hubert Védrine, il suo segretario. Oggi ed ora noi rwnadesi chiediamo che la Francia non aspetti la sua morte per tradulro davanti alla giustizia affinchè risponda dei suoi crimini e non è l’unico. I soldati francesi hanno combattuto al fianco delle forze armate ruandesi sin dall’inizio della guerra nel 1990 contro al Fronte patriottico Ruandese che sfociò nel genocidio nel 1994.
Non possiamo passare sotto silenzio tutto ciò, come disse il reporter Patrick de Saint Exupery, un genocidio lascia delle tracce Indelebili, è un bruciore permanente, in Rwanda la gente ha dovuto imparare a vivere con questo bruciore ma questa stessa gente chiede giustizia. Come scrisse la mia adorata Yolande Mukagasana, “non ci sarà umanità senza perdono, non ci sarà perdono senza giustizia, non ci sarà giustizia senza umanità” e questo cerchio deve chiudersi in qualche modo,no?
kwibuka 27-Come combattere il negazionismo e revisionismo
Evento zoom di presentazione del libro di Niccolò Rinaldi, martedì 16 Febbraio 2021 organizzato dalla Comunità Ebraica di Firenze, alle 18.30 collegatevi al link http://bit.ly/3oKVrZG
“Memoria”, “unicità”, “mai più”: moniti che dopo la Shoah vengono messi in discussione dal Ruanda del 1994, un genocidio dei nostri tempi, il primo della società globale. Il massacro di oltre 800.000 tutsi e hutu moderati non è mai stato un “conflitto tribale”, come all’epoca qualcuno provò a definirlo, ma un genocidio che ripercorre molte delle modalità dello sterminio nazista degli ebrei, di cui è un “figlio maggiore”. Dal cuore dell’Europa al cuore dell’Africa, la meccanica dei due genocidi si può confrontare in un percorso in venti “stazioni”, con somiglianze stridenti e alcune differenze, comprese le responsabilità di una parte dell’Occidente che in Ruanda, cinquant’anni dopo la Shoah, si ritrova meno sicuro dei suoi antidoti politici e culturali che considerava acquisiti. Le Due lezioni parallele sono un percorso a specchio ricco di riscontri inaspettati e inquietanti, che rende ancora più attuale la terribile lezione della Shoah e svela menzognee ipocrisie del nostro tempo.
Yolande Mugakagasana, ha affrontato la negazione del genocidio dei Tutsi e il revisionismo attraverso le sue opere letterarie, ha presentato la sua Fondazione attraverso la quale intende continuare la lotta che li portò via la sua famiglia.
Lunedì 11 gennaio 2021, è stata annunciata la creazione di una fondazione indipendente per la ricerca e la protezione della memoria del genocidio contro i tutsi, che, tra l’altro, combatterà contro l’ideologia dello stesso e promuoverà qualsiasi arte che abbia lo stesso obiettivo che sia lo scritto, o attraverso i cinema, la musica e il teatro.
La Fondazione, ha anche l’obiettivo di condurre ricerche sul genocidio contro i tutsi, in collaborazione con le organizzazioni competenti attraverso conferenze e seminari sul tema, archiviando la storia del genocidio e promuovendone la cultura della lettura e della scrittura .
Parlando dell’obiettivo di questa fondazione, Yolande Mukagasana, presidente e membro fondatore, ha affermato che l’idea di lanciare la fondazione è nata dalla necessità di affrontare la negazione del genocidio in tutto il mondo mentre più ricercatori e giornalisti continuano a rivedere deliberatamente la storia.
“L’ideologia del genocidio perpetrato contro i tutsi e la sua negazione sono ancora d’attualità, soprattutto nel settore giornalistico e accademico, perché dagli autori dello stesso e dai loro complici”, ha detto Mukagasana.
“L’evoluzione dei media ha dato vita ad un pubblico facilmente influenzabile attraveso dichiarazioni in nome della libertà di espressione non veritiere, rilasciati con superficialitá. Come custodi della memoria, non possiamo accettare la distorsione della storia del Rwanda che include il genocidio “.
La Fondazione è stata costituita da persone di ogni estrazione sociale, sia in Rwanda che all’estero. Hanno portato le loro risorse, tra le altre, le loro esperienze educative, e le loro abilità. La maggioranza é rappresentata da giovani che vogliono ricostruire il Rwanda sulla base delle nostre differenze.
“Dobbiamo sapere che tali differenze non ci rendono nemici, ma ci arricchiscono. Il genocidio perpetrato contro i tutsi fa parte della storia dei Rwandesi, è della storia dell’umanità. Combattere contro l’ideologia e la negazione del genocidio è combattere contro l’odio, é quindi, dovere di tutti, esserne coinvolti “, ha detto Mukagasana.
La Fondazione Yolande Mukagasana è aperta a chiunque, a qualsiasi istituzione, sia nazionale che internazionale, che condivida la stessa visione.
Chi è Mukagasana?
Il genocidio contro i tutsi ha lasciato Yolande Mukagasana vedova e senza figli. Dal 1995 si è confrontata, in occindente contro la negazione e il revisionismo di questo sterminio. La sua lotta è iniziata nel 1995 in Europa dove ha trascorso 16 anni parlando e testimoniando del genocidio contro i tutsi, di giustizia, di pace e di convivenza nonostante le sue ferite ancora aperte.
Ha viaggiato in tutto il mondo per condividere testimonianze sul genocidio. Ha ricevuto vari premi tra cui la Menzione d’Onore del Premio UNESCO per l’Educazione alla Pace, il riconoscimento della Comunità Ebraica Americana, candidata al premio Nobel per la pce e molti altri.
Yolande Mukagasana è autrice di sette libri tradotti in diverse lingue come contributo alla promozione della cultura della lettura e della scrittura sul genocidio contro i tutsi, mantenendo così vivo il ricordo.
“Non ci sarà umanità senza perdono, non ci sarà perdono senza giustizia e non ci sarà giustizia senza umanità”, dice Mukagasana.
Di fronte alla crescente negazione del genocidio, la fondazione condurrà ricerche per sfidare coloro che negano o rivedono il genocidio del 1994 contro i tutsi
Mentre eravamo tutti rinchiusi nelle nostre case per la pandemia di Coronavirus, Il 7 aprile 2020 in Rwanda iniziava la commemorazione del genocidio del 1994 contro i Tutsi. Veniva reso pubblico tramite i social media un video di una bambina in abiti a brandelli, che singhiozzava in modo incontrollato mentre indicava il punto in cui sua madre e suo padre sono stati uccisi. Il video unico nel suo genere, impone a chi lo vede la triste realtà degli eventi dell’epoca, dove i genitori sono stati uccisi davanti ai propri figli e dove i bambini cercavano di trovare il modo di assicurarsi la propria sopravvivenza rischiando di essere uccisi.
Vogliamo condividere la storia di questa giovane donna, Marianna Mamashenge, nella speranza che la sua testimonianza possa essere fonte di forza per chi in questi giorni ha perso i propri cari. A 5 anni fu filmata da un gruppo di giornalisti stranieri presenti a Ntarama, nel distretto di Bugesera, nella provincia orientale, mentre vagava nel luogo in cui i suoi genitori erano stati uccisi.
È qui che è rinata dai morti, 26 anni fa, essendo stata annoverata tra i morti nella Chiesa Cattolica Romana di Ntarama, un luogo dove i più crudeli massacri sono stati registrati nel genocidio del 1994 contro i Tutsi. Molti l’hanno conosciuta attraverso questo breve video di 22 secondi in cui è stata intervistata davanti a migliaia di corpi, tra quello del padre e della madre, prima che avessero potuto dagli una sepoltura decente nel Memoriale di Ntarama.
Quello che è straziante è vedere come in così tenera età ha potuto raccontare il modo in cui i suoi genitori Alphonse Kagenza e Anastasie Mukagaga sono stati uccisi, un paio di settimane dopo che il Fronte Patriottico Ruanda (RPF) Inkotanyi aveva posto fine ai massacri.
“A mio padre hanno sparato e mia madre è stata uccisa con un machete“, ha detto nel video mentre indicava il posto tra le lacrime. “Riconosco mia madre”, disse mentre indicava il suo corpo, “e mio padre il cui corpo è laggiù”, dice nel video davvero difficile da guardare senza piangere. Non solo ha perso i suoi genitori nel genocidio contro i Tutsi, ma anche due suo fratelli sono stati uccisi nello stesso luogo, che ad oggi è uno dei pochi memoriali in cui gli eventi reali, per quanto cupi, sono stati conservati per fare da monito alle generazioni future.
Da bambina, Mamashenge ricorda la maggior parte degli incidenti prima e durante il genocidio che ha colpito la sua vita e la sua famiglia, anche se a cinque anni era ancora troppo giovane per dare un senso all’orrore che li accadeva attorno. Ricorda ancora le circostanze in cui il video è stato registrato da giornalisti stranieri che l’hanno trovata seduta nella chiesa dove giacevano i suoi genitori. “Scapavo dai miei tutori per venire a passare del tempo con i miei genitori perché mi dava la sensazione che fossimo insieme”, ha detto ai giornalisti di Kigali Today da casa sua a Ntarama.
Da qui, nella sua casa nel settore di Ntarama, ha raccontato il calvario della sua famiglia nel genocidio del 1994 contro i Tutsi. “Ricordo bene che tutto è iniziato con lo schianto dell’aereo del presidente Habyarimana il 6 aprile 1994. Ricordo i miei genitori che dicevano che non saremmo sopravvissuti a quell’incidente in quanto Tutsi”, ha detto. Il 7 aprile 1994, la sua famiglia, compreso i suoi genitori e i suoi nove fratelli, così come i loro vicini Tutsi corsero alla Chiesa di Ntarama dove cercarono il rifugio mentre i loro vicini Hutu si accanivano contro di loro e iniziarono a incendiare le loro case.
Oggi Mamashenge è madre di due figli, dice di aver perdonato gli assassini perché non vuole essere prigioniera del suo passato.
“Sono malvagi, ma non voglio essere ostaggio del passato. Devo continuare a costruire un futuro più luminoso per me e per i miei figli. Come sopravvissuti al genocidio, non dovremmo mai sentire che tutto è finito per noi“,”Dio ha un piano per ognuno di noi“, dice, ringraziando il governo per il sostegno che gli è stato accordato.
Oggi conferenza presso il liceo Immanuel Kant, a cura di Paola Pietro Santi.
Testimonianze e storie su uno dei più grandi genocidi degli ultimi trent’anni raccontate da Françoise Kankindi, che oggi vive nel nostro Paese ed è Presidente della Onlus Bene Rwanda.
Prima una breve introduzione a cura di Luca Ianniello, studente alla Sapienza presso la facoltà di Storia. Saluti della Preside, Prof.ssa Ivana Uras.
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