A seguire le foto della Giornata dl XV° aniversario della Memoria per il genocidio del Rwanda celebratosi a Roma, in piazza Farnese, di fronte all’Ambasciata Francese, e al teatro Piccolo Eliseo in via Nazionale.
La storia di “giusto” di Pierantonio Costa è diventata nota all’opinione pubblica nel 2004, dieci anni dopo il genocidio, attraverso il libro “La lista del console” (Edizioni Paoline).I 15 episodi che presentiamo sono una rielaborazione tratta da quello stesso volume, che l’editore Paoline ha volentieri concesso di utilizzare, visto l’alto significato dell’iniziativa dell’associazione “Bene Rwanda”.Nessuno li conosceva, prima, i cento giorni di Pierantonio Costa. Lui non li aveva mai raccontati, neanche in famiglia nei dettagli.
Costa vive ancora in Rwanda. Fa l’imprenditore, come in tutti i precedenti 40 anni passati nel Paese delle mille colline. Per 15 anni, dal 1988 al 2003 è stato anche console onorario per l’Italia in Rwanda. Ed è in questa veste che è cominciato il suo coinvolgimento nei tragici avvenimenti dell’aprile 1994.Io lo conobbi, come tutti i giornalisti italiani che si recavano all’epoca in Rwanda, nel corso di una missione all’interno del Paese, mentre erano in corso i massacri. Viaggiammo insieme per soli tre giorni, dal 19 al 21 maggio 1994, in una delle sue “incursioni” nel Paese per cercare di dare aiuto agli oltre 500 bambini accolti nell’orfanotrofio di Nyanza.
In occasione del 15° anniversario del genocidio in Rwanda del 1994, Dario Fo interviene con questo video alla commemorazione organizzata il 7 aprile 2009 al Teatro Piccolo Eliseo di Roma dall’associazione Bene-Rwanda.
Partendo dalla percezione vaga e distorta che l’immaginario occidentale ha del genocidio ruandese, il Premio Nobel prosegue con un’analisi degli interessi geopolitici e delle responsabilità internazionali nei tragici eventi del 1994, per finire con un’amara considerazione: la vergognosa indifferenza con la quale il mondo intero assistette al genocidio di un milione di persone in meno di 100 giorni senza intervenire, dipese anche e soprattutto da una grave colpa di quel milione di vittime: il colore della loro pelle.
Mi ricordo di una notte passata in preda al terrore di fronte alla televisione (Rai 3) che trasmetteva un lunghissimo collage di filmati sullo sterminio del Rwanda.
Parlo di terrore perché mi immedesimai in quel mare di profughi, di affamati, di feriti, di morti.
E mi chiesi, e me lo chiedo ancora, perché il mondo non reagì, perché la maggioranza degli umani furono indifferenti a quell’immane sofferenza.
Rispondere a questa domanda credo sia essenziale per la qualità della vita di ognuno di noi.
Anni dopo quella notte passata di fronte al teleschermo lessi un libro impressionante: “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”, dove Hans Jonas, l’autore diceva: “La domanda che gli stermini ci pongono è: come è possibile che Dio, la provvidenza, l’energia cosmica o qualunque altra cosa governi il mondo, non sia intervenuta a fermare i malvagi o quantomeno a punirli?
Neppure i miscredenti totali riescono a fuggire da questo interrogativo”.