Feriti, ma vivi. Torturati, ma vivi. Umiliati, ma vivi. È in questo stato che ritrovo i miei figli. Tremo vedendoli avanzare verso me, come tre piccoli re magi cenciosi. Ci abbracciamo, piangiamo. Spérancie geme in un angolo della stanza. I suoi singhiozzi mi entrano nella carne come tanti segni della sua debolezza, del suo sentimentalismo senza vigore. Alla fine si alza, scompare nel giardino, lasciandomi alla mia dolorosa intimità di madre circondata dai suoi sfortunati figli.
scarica i capitoli al seguente link: La morte non mi ha voluta cap-9-10-11
maggio 22nd, 2009
Il Rwanda ha conosciuto cicli di violenza a carattere etnico fin dal 1959 quando i tutsi hanno cominciato ad essere uccisi o forzati a scegliere l’esilio a causa dei miliziani del MDR-PARMEHUTU composto per lo piu’ da elementi estremisti Hutu sostenuti dall’amministrazione coloniale e dalla Chiesa cattolica. Già a quell’epoca le donne costituivano un gruppo particolarmente colpito dalle milizie del partito MDR-PARMEHUTU che aveva da poco preso il potere per mezzo di cio’ che essi chiamavano una rivoluzione sociale ma che in realta’ non era altro che una caccia ai Tutsi.
Mentre erano intenti ad uccidere persone, bruciare case, spogliare dei beni e mangiare le vacche dei Tutsi, essi scandivano slogan che incitavano alla violenza, del tipo: “Inka zabo tuzazirya, abagore n’abakobwa babo tuzabasambanya” (Noi mangeremo le loro vacche, noi violenteremo le loro donne e le loro figlie).
E’ importante notare che le vacche in Rwanda costituivano il simbolo della ricchezza ed innalzavano i loro proprietari ad un rango sociale elevato. Esse erano dunque ragione di fierezza per i loro allevatori e oggetto di invidia per chi non le possedava. Per meglio ferire i Tutsi nel loro amor proprio, si dovevano colpire le loro vacche ed in fine per annientarli definitivamente si dovevano violentare le loro donne e le loro figlie sapendo che lo stupro è il crimine più degradante e più umiliante di cui una donna e la sua famiglia possano essere vittime. La vergogna e l’umiliazione causate dallo stupro vanno al di là della vittima diretta e coinvolgono anche la sua famiglia, in particolare i parenti, il marito ed i suoi figli.
Lo stupro utilizzato come arma del genocidio.
Nell’Aprile del 1994, il popolo ruandese, commettendo il Genocidio dei Tutsi che causò la perdita di un milione di vite in cento giorni, ha scritto la pagina più oscura della sua storia. Nel corso del genocidio, lo stupro è stato utilizzato come una delle armi più terribili e più effcicaci. Per questo la donna Tutsi è stata un vero campo di battaglia a seguito di violenze sistematiche di massa.
I pianificatori del genocidio hanno identificato lo stupro come una strategia infallibile per sterminare i Tutsi, obiettivo totalmente riuscito, poiché le vittime di questi stupri e violenze sessuali sono state in gran parte contaminate dall’HIV/AIDS ed altre violentate in presenza dei loro figli, non hanno potuto sopportare l’umiliazione e si sono suicidate. Essi hanno perciò chiesto alla popolazione Hutu non solo di uccidere tutti i Tutsi ma anche di violentare sistematicamente tutte le donne ed i bambini. Per tale motivo sono state violentate anche donne con più di sessanta anni così come bambini sotto i 10 anni. L’esempio più lampante è quello del tristemente celebre Jean Paul AKAYEZU, allora Sindaco del comune di Taba nella Prefettura di Gitarama (oggi divenuto Distretto di Kamonyi nella Provincia del Sud) il quale diceva ai miliziani INTERAHAMWE (Fazione armata del MRND, partito al potere durante il genocidio) che si trattava per loro dell’unica occasione per andare a letto con una donna Tutsi. Ad essi rivolgeva proposte del tipo: «Voi avete a vostra disposizione delle donne Tutsi, se voi non approfittate dell’occasione, non venitemi più a domandare a che cosa assomigli il loro sesso ». O ancora: «Voi non ignorate quanto queste donne siano fiere ed arroganti, voi sapete come esse vi abbiano sempre disdegnato, punitele andando a letto con loro »
Ricordiamo che Akayesu è stata la prima persona ad essere stata condannata dal Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda «TPIR » per i crimini di stupro e violenze sessuali.
In aggiunta agli stupri, diverse altre forme di violenza sessuale come torture e mutilazioni sessuali sono state perpetrate sulle vittime. L’orrore indicibile ha avuto luogo quando essi hanno obbligato dei giovani a violentare le proprie madri, i padri a violentare le proprie figlie e quando hanno tagliato i clitoridi delle donne. Tagliare il clitoride ad una donna ruandese significa colpire la sua dignità umana e ferirla profondamente nella sua autostima. Non c’è da meravigliarsi che alcune di loro abbiano deciso di porre fine alla loro vita!!!
Tutte queste violenze sono state commesse in publico con la benedizione e la partecipazione di alcuni elementi dell’amministrazione politica, dell’esercito ed anche di leader religiosi.
Questi atti ignobili venivano acompagnati da parole oscene che avevano come fine non solo quello di umiliare e di ferire la vittima, ma anche di colpire tutta la sua famiglia.
Questi atti ignobili hanno avuto conseguenze molto gravi di ordine fisico, psicologico e socio economico. Senza parlare delll’HIV/AIDS, le cui vittime oggi sono per la maggior parte morte.
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maggio 22nd, 2009
Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana
M. Vestina
33 anni, superstite, Gahembe
V.M. – Ho saputo della morte di Habyarimana solo la mattina del 7 aprile. Ho chiesto a una vicina hutu perché c’erano dei gruppuscoli nel centro del villaggio. Mi ha risposto con aggressività. “Smettila di fare finta. Sai bene che il presidente è stato assassinato.” Ho avuto veramente paura. Per me, era la fine. Ripensando al 1992 mi sono calmata, pensando che avrebbero assassinato solo dei ricchi e degli intellettuali. Un anziano hutu, una volta amico di mio padre, è venuto a prendere me e i bambini, poiché ero vedova. I figli di quel vecchio erano degli Interahamwe. Sua moglie, una Tutsi, fu la prima a cacciarmi. Esageravo la situazione, diceva. Suo marito ha dovuto impormi. Suo figlio, il più pericoloso di tutti, mi ha preso e spinta con un’ascia. Sono caduta sulla schiena. Ho visto l’ascia sollevata sopra di me, pronta a colpire. L’immagine mi terrorizza ancora oggi. È il fratello più piccolo, eppure anche lui miliziano, che mi ha salvato la vita. Mi ha tenuta in ostaggio per tutto il periodo. Mi violentava regolarmente. Gli lasciavo usare il mio corpo, a patto che non uccidesse, i miei figli.
Y.M. – Non hai paura dell’AIDS?
V.M. – L’AIDS? Si, ho paura, ma lo vedo come una fatalità. Recentemente ho notato una macchia sulla mia gamba. Ho pensato subito che era l’AIDS. Ma a che serve preoccuparsi? In ogni caso, se ho l’AIDS, non ho i mezzi per curarmi. Spero solo di non morire prima che i miei figli siano grandi.
Y.M. – Pensi di fare il test?
V.M. – A che serve?
Y.M. – E non gliene vuoi a quest’uomo che ti ha preso con la forza?
V.M. – Certo che gliene voglio. Testimonierò contro di lui. Se mi ha preso in ostaggio, non era per amore. Era il suo modo di uccidermi.
MUKASARAMBU Béata
25 anni, superstite, Nyamirambo
Béata è mia nipote, ha accompagnato i miei figli fino alla fossa dove sono stati assassinati.
B.M. – Ma zia, come sei ingenua! Tutti gli Hutu del quartiere avevano una sola idea in testa, uccidere. Non salvare. Il giorno dopo la morte dei tuoi figli, la moglie di Camille mi ha detto “c’è un uomo là nella strada e vuole vederti. è un miliziano che forse viene ad ucciderti. Si chiama Bizimungu.” Ma io, volevo solo una cosa: la morte. Pensare di poter morire era per me un piacere. Mi sono precipitata verso il miliziano. Ma ha esitato. “No, ha detto, di sicuro non sei tu la Béata che cerco. Quella che cerco è una Hutu, la sorella di Véné. Senza dubbio non sei tu. Torno a chiedere se sei tu.” È andato via ed è tornato dopo un quarto d’ora. E ha detto “Vieni, andiamo.” Siamo andati e abbiamo preso la direzione della fossa. Camminavo felice. Arrivati vicino alla fossa, Gaspard, il tuo vicino, ha gridato “Bizimungu, portami quella ragazza. Deve entrare nella mia casa.” Bizimungu rispose: “Conosci Ruvubu, il più grande miliziano? È lui che mi ha mandato a prenderla. Se viene a sapere che l’hai presa per te, sarà la guerra tra voi. A te la scelta.” In quel momento ho capito che mi cercavano per violentarmi. Zia, non voglio più continuare. Parleremo del resto più tardi. Lo sai, la mattina stessa, mi avevano messo una granata in bocca per obbligarmi a dire dove ti eri nascosta. Dopo quella granata, sono un po’ matta. A volte credo ancora che stia per esplodere. Mi succede di rimpiangere il fatto che non sia mai esplosa.
Anastasie I.
49 anni, superstite, Gahembe (Bugesera)
A.I. – Sulla collina dove eravamo fuggiti, gli uomini si battevano contro gli assassini e le donne e i bambini raccoglievano dei sassi per aiutarli. Nella mischia, un miliziano mi ha detto: “tu sei come una madre per me, vorrei poterti nascondere ma l’ultimo giorno dei Tutsi è venuto, devono tutti morire”. Mi ha tenuto tre giorni nel suo bananeto perché aveva paura di tenermi in casa; poi mi ha portata in mezzo a dei cadaveri sulla collina della resistenza. Là abbiamo passato la notte, mio figlio ed io. Gli assassini sono venuti, mi hanno colpito e hanno ucciso mio figlio. Uno di loro ha detto: “Questa vecchia ci ha curati tutti, se la uccidiamo, ci porterà male. Lasciamola in mezzo ai morti. morirà di fame; i cani e i nibbi finiranno il lavoro”. Se ne sono andati. Uno degli assassini è tornato: “vieni a casa mia, se mia moglie accetta, ti nascondo”. Sua moglie ha rifiutato, mi ha messa nella boscaglia e mi portava tutti i giorni dei semi di sorgo; poi, quando il FPR è arrivato, mi ha avvisato: “Anastasie, vengo a salutarti, non posso più proteggerti, non ti perdere d’animo e fai attenzione ai fuggiaschi, uccidono sul loro passaggio”.
Y.M. – Hai figli?
A.I. – Sì, tre. Quattro sono morti. La più grande è stata violentata e ha un bambino. Ho veramente molte ferite sul corpo, le mie cicatrici stanno scomparendo ma le ferite del cuore non si cicatrizzeranno mai.
Y.M. – Cosa pensi delle ONG e della Chiesa cattolica?
A.I. – C’è stato del disaccordo tra la Chiesa cattolica e il nostro governo. Quest’ultimo voleva che la Chiesa di Nyamata diventasse un monumento commemorativo del genocidio per lasciarci riposare gli scheletri. Per la Chiesa era un peccato. Sarebbe più grave tenere queste ossa nella chiesa piuttosto che aver lasciato uccidere là degli esseri umani? La Chiesa, non voglio più sentirne parlare … i religiosi bianchi sono stati rimpatriati, i religiosi ruandesi sono stati abbandonati. È successo lo stesso con le ONG.
Oggi, molti assassini si rifugiano nelle sette e fanno finta di avere la fede.
maggio 22nd, 2009