TESTIMONIANZE DAL GENOCIDIO/9
giugno 16th, 2009
Brani tratti dal libro “Le ferite del silenzio” di Yolande Mukagasana
Charles W.
45 anni, superstite, Bugesera
C.W. – Per noi il genocidio si preparava dal momento in cui hanno incominciato a misurarci il naso e le tempie. Qui, nel Bugesera, lo hanno fatto tra il 1970 e il 1973.
Y.M. – E durante gli anni novanta?
C.W. – Negli anni novanta, avevamo degli operai che in realtà erano dei militari inoltrati. Lavoravano di giorno e di sera assistevano a delle riunioni. Nel momento in cui hanno incominciato ad uccidere, sono stati i primi, con l’aiuto dei Francesi.
Y.M. – I Francesi?
C.W. – Sì, i Francesi! Avevano una barriera a Gahanga. Là, fermavano i Tutsi che avevano dei figli nel FPR e li consegnavano ai FAR.
Y.M. – Cosa ne pensi del modo in cui si rende giustizia oggi?
C.W. – Sono triste quando vedo che si fanno uscire dalle prigioni gli autori del genocidio con il pretesto che sono vecchi o malati, mentre loro hanno ucciso i loro simili nei letti. Come il mio vicino Fidèle, costretto a letto da molto tempo; l’hanno fatto a pezzi e non dimenticherò mai l’immagine di quel cane con il piede di Fidèle in bocca. Ora, ci si basa sull’assenza di prove o sull’età troppo avanzata per liberarli. Sapete come hanno ucciso l’unico figlio che avevo? Hanno giocato a calcio con lui, fino a quando è morto. Assistevo, impotente. Qualcuno può rispondere a questa domanda: “perché giocare con il mio bambino come se fosse un pallone?”. Ho l’impressione che sono gli assassini a fare giustizia oggi e vogliono fare uscire i loro dalle prigioni. Durante il genocidio, per ammazzare più facilmente la gente, la si faceva raggruppare nelle chiese, nelle scuole, negli stadi, etc. Ora si costruiscono dei villaggi per i superstiti del genocidio o per i poveri Tutsi rientrati dall’esilio. Chi può garantirmi che una volta raggruppati non saranno uccisi di nuovo?
Y.M. – Di che cosa vivi oggi?
C.W. – Cerco di coltivare qualcosa. Ho due figli nati dopo il genocidio e mi occupo di tre orfani del genocidio. Ma moglie ha un braccio tagliato. Non può aiutarmi.
Y.M. – Hai una casa?
C.W. – No. Occupo la casa di persone che sono andate via, ma se tornano dovrò lasciarla.
Y.M. – Cosa pensi dei Bianchi?
C.W. – Sono tutti uguali. I Belgi hanno creato la divisione tra noi inventando una carta d’identità etnica poi, sulla base di questa carta d’identità, i Francesi sono venuti ad appoggiare il genocidio. Se hai l’occasione di incontrare dei Francesi, chiedi loro se si ricordano della barriera di Nyanza a Kicukiro. E poi, che i Bianchi la smettessero di dire che ci sono stati tra 500 e 800.000 morti. Perché diminuiscono le cifre? Abbiamo perso 2 milioni di persone. Osano parlare di 500 a 800.000! Perché? Le persone come voi devono rinfrescar loro la memoria.
Y.M. – Continuerò a lottare per la verità. È tutto quello che posso fare. Quando sarò morta, lo saprete.
C.W. – Se non sei ancora morta, pensi che sia per pietà?
(risa)
MUNYAMBUGA Thaddée
45 anni, catechista, in prigione a Butare
Y.M. – Sembra che vi dichiariate colpevole?
M.T. – Si, mi dichiaro colpevole. Ma sono innocente.
Y.M. – Siete davvero innocente? Ma allora, perché dichiararsi colpevole?
M.T. – Ho solo impedito ai Tutsi di sfuggire ai gendarmi. Ma io, io non ho ucciso con le mie mani. Sono innocente.
Y.M. – E i Tutsi che avete consegnato ai gendarmi, sono morti?
M.T. – Nessuno è stato ucciso alla barriera che sorvegliavo, tranne i Tutsi del mio quartiere.
Y.M. – Parlo di quelli che voi avete consegnato ai gendarmi.
M.T. – Quei Tutsi, ho solo impedito loro di fuggire e li ho portati dai gendarmi. Ma non li ho uccisi. Non ho ucciso nessuno con le mie mani. Bisogna riconoscere la mia innocenza. Sorvegliavo solo la barriera. Ho solo ubbidito.
Y.M. – Ma avete ubbidito a delle persone che volevano uccidere!
M.T. – Sono innocente. Non ho sangue sulle mie mani.
Y.M. – E avete salvato delle persone?
M.T. – Non ho salvato nessuno. Ma c’erano solo due famiglie tutsi nel mio quartiere.
Y.M. – E loro sono morti?
M.T. – Si, sono morti. Ci sono stati pochi morti nel mio quartiere.
Y.M. – Credo che non abbiamo più niente da dirci.
Odette M.
32 anni, superstite, Nyamirambo (Kigali)
O.M. – Dall’assassinio del presidente, mio marito, mio figlio ed io ci siamo nascosti a casa di diverse persone. Ma il 24 aprile ci hanno trovato e portati alla barriera. Gli assassini hanno chiesto a mio marito la sua carta d’identità. Lui l’ha mostrata, è stato subito colpito con un manganello e poi freddato con tre pallottole nel petto. Uno dei nostri vicini è stato ucciso nello stesso momento: i miliziani l’hanno frugato, hanno trovato dei soldi e se li sono contesi. Approfittando della lite, uno degli assassini, di nome Antoine, mi ha fatto portare a casa sua. Là, mi ha nascosta sotto il letto con il mio bimbo. Ci sono rimasta cinque settimane. è così che mi sono salvata. Quando il FPR è arrivato, siamo stati riuniti insieme a molti altri superstiti, gli Interahamwe hanno gettato una granata sul nostro gruppo ed è così che sono stata ferita.
Y.M. – E ora, ti capita di avere paura degli Interahamwe o delle persone che hai visto uccidere? Ti capita di incontrarli?
O.M. – (sorridendo) Li incontro tutti i giorni! Sono i miei vicini. Ma non ho paura perché‚ non ho nessuna via d’uscita. Mi uccideranno quando lo vorranno.
Y.M. – E il tuo bambino si ricorda del genocidio?
O.M. – No, aveva solo un anno. A scuola, ne parla con i suoi compagni e mi chiede perché non ha il papà e perché io ho solo un braccio. Quando glielo spiego, mi dice “mamma, ti vendicherò; prima o poi, dovranno ridarmi il mio papà”.
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