Editoriale 25° Giornata della Memoria del Genocidio dei Tutsi
aprile 7th, 2019
di Françoise Kankindi
Oggi commemoriamo un quarto di secolo dopo il Genocidio dei Tutsi in Rwanda sotto il tema “kwibuka twiyubaka” cioè ricordiamo ricostruendoci. Quali sono le lezioni che la 25° Giornata della Memoria porta al suo attivo?
La giusta individuazione delle vittime del genocidio cioè i Tutsi. Il 26 gennaio 2018, con la Risoluzione A / 72 / L.31, l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato all’unanimità la decisione con la quale ha cambiato il nome del 7 aprile, che, da “Giornata internazionale della riflessione sul genocidio in Ruanda “, varato nel dicembre 2003 con la Risoluzione A / RES / 58/234, diventa” Giornata internazionale di riflessione sul genocidio del 1994 contro i tutsi in Ruanda “. Anche se si riferisce solo al titolo e ad alcuni termini della risoluzione del 2003, l’emendamento è essenziale: quasi un quarto di secolo dopo il fatto, il gruppo mirato del genocidio è stato infine designato in un testo ufficiale della risoluzione del 2003, la massima autorità delle Nazioni Unite. Alla pace dei negazionisti e revisionisti che tentano sempre di confondere vittime Tutsi coi carnefici Hutu sostituendo a loro piacimento gli uni e gli altri appigliandosi al precedente testo generico. Ciò non è più consentito.
I conti con la Francia forse cominciano a tornare. Dopo la visita a Parigi lo scorso maggio del nostro presidente Paul Kagame e dopo un incontro bilaterale con il presidente Macron, quest’ultimo aveva preso diversi impegni tra cui quello di nominare una commissione di storici per lavorare sul Archivi francesi sulla presenza della Francia in Ruanda tra il 1990 e il 1994.
Le zone d’ombra del ruolo della Francia prima, durante e dopo questo genocidio – dove sono stati uccisi oltre un milione di persone da aprile a luglio 1994, principalmente nella minoranza Tutsi avranno finalmente luce con l’apertura degli archivi sulla portata dell’assistenza militare fornita dalla Francia al regime del presidente ruandese Hutu Juvenal Habyarimana dal 1990 al 1994 e le circostanze dell’attacco che gli è costato la vita il 6 aprile 1994, il grilletto del genocidio.
Formalmente invitato dal presidente Kagame, il presidente Macron pur essendo il grande assente dalle cerimonie di commemorazione del genocidio a Kigali di oggi e consapevole dei simboli, ha inviato una delegazione presieduta dal parlamentare Herve Berville, un orfano ruandese tutsi adottato da una famiglia francese nel 1994. Macron è andato anche oltre, ricevendo all’Eliseo i sopravvissuti dell’associazione Ibuka e annunciando l’imminente formazione della tanto attesa commissione di storici che studierà gli archivi finora tenuti segreti.
Il miracolo della ricostruzione rwandese continua. A un quarto di secolo dal terribile genocidio del 1994, il Ruanda continua la sua inarrestabile ripresa economica. Dopo un lungo periodo di unificazione e riconciliazione nazionale, sta investendo nella crescita economica e si sta concentrando sulle nuove tecnologie, con la speranza di diventare un hub ICT in Africa. Ero in Italia quando il genocidio è scoppiato nel mio paese. Ero arrivata nel 1992 per fare l’università e provenivo dal Burundi dove eravamo profughi dal 1959. Ho assistito impotente davanti alla televisione, al massacro della famiglia di mio padre e mia madre. La mia tragedia personale avveniva nell’indifferenza totale del mondo, comprese le Nazioni Unite presenti in Rwanda con una missione di pace. Mio marito e mio fratello stavano combattendo nel Frante Patriottico, che per fortuna è riuscito a fermare il genocidio.
Sono ritornata a casa nel 1995 per trovare i miei che erano finalmente rientati in Rwanda dopo tanti anni di esilio in Burundi. E’ stato terribile vedere la loro casa con tracce di sangue e pallotole sui muri. Ogni due anni continuo a ritornare. Stento a riconoscere il paese che avevo lasciato pieno di macerie perchè i rwandesi si sono rimboccati le maniche per ricostruire tutto. Oggi il Rwanda è un paese di cui vado molto fiera. Con mio marito contiamo i giorni che ci mancano alla pensione per ritornare a viverci e a contribuire a realizzare il “never again”: mai più genocidi.
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