Oggi commemoriamo un quarto di secolo dopo il Genocidio dei Tutsi in Rwanda sotto il tema “kwibuka twiyubaka” cioè ricordiamo ricostruendoci. Quali sono le lezioni che la 25° Giornata della Memoria porta al suo attivo?
Foto vittime del genocidio dei Tutsi
La giusta individuazione delle vittime del genocidio cioè i Tutsi. Il 26 gennaio 2018, con la Risoluzione A / 72 / L.31, l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato all’unanimità la decisione con la quale ha cambiato il nome del 7 aprile, che, da “Giornata internazionale della riflessione sul genocidio in Ruanda “, varato nel dicembre 2003 con la Risoluzione A / RES / 58/234, diventa” Giornata internazionale di riflessione sul genocidio del 1994 contro i tutsi in Ruanda “. Anche se si riferisce solo al titolo e ad alcuni termini della risoluzione del 2003, l’emendamento è essenziale: quasi un quarto di secolo dopo il fatto, il gruppo mirato del genocidio è stato infine designato in un testo ufficiale della risoluzione del 2003,la massima autorità delle Nazioni Unite. Alla pace dei negazionisti e revisionisti che tentano sempre di confondere vittime Tutsi coi carnefici Hutu sostituendo a loro piacimento gli uni e gli altri appigliandosi al precedente testo generico. Ciò non è più consentito. I conti con la Francia forse cominciano a tornare. Dopo la visita a Parigi lo scorso maggio del nostro presidente Paul Kagame e dopo un incontro bilaterale con il presidente Macron, quest’ultimo aveva preso diversi impegni tra cui quello di nominare una commissione di storici per lavorare sul Archivi francesi sulla presenza della Francia in Ruanda tra il 1990 e il 1994.
Le zone d’ombra del ruolo della Francia prima, durante e dopo questo genocidio – dove sono stati uccisi oltre un milione di persone da aprile a luglio 1994, principalmente nella minoranza Tutsi avranno finalmente luce con l’apertura degli archivi sulla portata dell’assistenza militare fornita dalla Francia al regime del presidente ruandese Hutu Juvenal Habyarimana dal 1990 al 1994 e le circostanze dell’attacco che gli è costato la vita il 6 aprile 1994, il grilletto del genocidio.
Formalmente invitato dal presidente Kagame, il presidente Macron pur essendo il grande assente dalle cerimonie di commemorazione del genocidio a Kigali di oggi e consapevole dei simboli, ha inviato una delegazione presieduta dal parlamentare Herve Berville, un orfano ruandese tutsi adottato da una famiglia francese nel 1994. Macron è andato anche oltre, ricevendo all’Eliseo i sopravvissuti dell’associazione Ibuka e annunciando l’imminente formazione della tanto attesa commissione di storici che studierà gli archivi finora tenuti segreti.
Il miracolo della ricostruzione rwandese continua. A un quarto di secolo dal terribile genocidio del 1994, il Ruanda continua la sua inarrestabile ripresa economica. Dopo un lungo periodo di unificazione e riconciliazione nazionale, sta investendo nella crescita economica e si sta concentrando sulle nuove tecnologie, con la speranza di diventare un hub ICT in Africa. Ero in Italia quando il genocidio è scoppiato nel mio paese. Ero arrivata nel 1992 per fare l’università e provenivo dal Burundi dove eravamo profughi dal 1959. Ho assistito impotente davanti alla televisione, al massacro della famiglia di mio padre e mia madre. La mia tragedia personale avveniva nell’indifferenza totale del mondo, comprese le Nazioni Unite presenti in Rwanda con una missione di pace. Mio marito e mio fratello stavano combattendo nel Frante Patriottico, che per fortuna è riuscito a fermare il genocidio.
Sono ritornata a casa nel 1995 per trovare i miei che erano finalmente rientati in Rwanda dopo tanti anni di esilio in Burundi. E’ stato terribile vedere la loro casa con tracce di sangue e pallotole sui muri. Ogni due anni continuo a ritornare. Stento a riconoscere il paese che avevo lasciato pieno di macerie perchè i rwandesi si sono rimboccati le maniche per ricostruire tutto. Oggi il Rwanda è un paese di cui vado molto fiera. Con mio marito contiamo i giorni che ci mancano alla pensione per ritornare a viverci e a contribuire a realizzare il “never again”: mai più genocidi.
Per la 24° ricorrenza della commemorazione del Genocidio dei Tutsi in Rwanda, conforta l’inesorabile cammino della giustizia e della verità che nessuno può fermare né opporre il famoso segreto di Stato. Il 16 marzo è uscito nelle librerie il libro “Ruanda, la fine del silenzio”, scritto dall’ex ufficiale francese Guillaume Ancel, che rompe l’omertà sull’operazione “Turquoise” raccontando giorno per giorno grazie ai suoi quaderni di campo, l’obiettivo non dichiarato di fermare il fronte patriottico che stava fermando il genocidio e rimettere al potere il governo genocida. Nel libro, l’autore racconta le minacce ricevute per costringerlo alla “legge del silenzio” che vige tutt’oggi all’interno dell’esercito francese.
Guillaume Ancel contraddice la versione ufficiale di un intervento “umanitario”. Secondo lui, la Francia è stata lenta a prendere le distanze dal regime genocida. In un intervista rilasciata su libération il 15 marzo 2018 racconta ciò che ha vissuto.
“Nel 94 in Rwanda fu lanciata una campagna di sterminio contro la minoranza tutsi. Per mettervi fine, dopo che la comunità internazionale aveva precipitosamente piegato bagagli, ci fu soltanto l’offensiva del movimento ribelle, il Fronte Patriottico Rwandese (FPR), formato quattro anni prima dagli esuli tutsi. Contro ogni aspettativa, l’FPR ha respinto il governo genocida ed è proprio nel momento in cui sembra vicino alla vittoria finale che la Francia ha deciso improvvisamente di intervenire con una missione etichettata “umanitaria”.
Rwanda, la fine del silenzio
Ho pubblicato questo libro per evitare che il silenzio diventi amnesia e su consiglio di uno storico, Stéphane Audoin-Rouzeau. Questa è una testimonianza scritta, questa volta, di ciò che ho vissuto, di ciò che ho visto. Inviandoci lì, nessuno ci ha informato prima della partenza. Non sapevamo nulla. Questo era totalmente nuovo nell’esercito. Ed è solo quando siamo arrivati sul posto che abbiamo capito che al contrario dell’ “azione umanitaria”, eravamo li in primis per fermare il Fronte Patriotico Rwandese, quindi impedire la vittoria di coloro che stavano combattendo i genocidari. Genocidari che abbiamo tentato di rimettere al potere, poi abbiamo aiutato a fuggire, riarmandoli oltre il confine nello Zaire (Oggi Repubblica Democratica del Congo)”.
Con questa preziosa testimonianza, noi rwandesi in nome dei nostri periti in quel eccidio pretendiamo che la giustizia francese riprenda il suo camino e dia la giustizia ad un milione di tutsi massacrati sotto il silenzio e indifferenza della comunità internazionale.
L’inchiesta giudiziaria di una possibile complicità del genocidio degli ufficiali francesi in Ruanda nel 1994 durante l’Operazione Turquoise istituito a Parigi nel 2005 che sembra sepolta deve riprendersi sulla base delle rivelazione di questo ex ufficiale dell’esercito presente sul posto.
Il ruolo della Francia nel genocidio di Tutsi in Ruanda è stato un tabù per politici e soldati francesi per ventiquattro anni. Abbiamo paura che non diventi così anche per la giustizia. Il 31 ottobre 2017, il Presidente della camera istruttoria del Tribunale d’appello di Parigi ha approvato la decisione di un giudice che ha rifiutato di ascoltare i due più alti funzionari dell’esercito francese durante l’Operazione Turquoise.
Attraverso le loro ultime decisioni, i magistrati francesi hanno posto fine alle speranze di tre sopravvissuti Il genocidio ruandese di Tutsi, nel 1994, e alcune associazioni di partiti civili (Survie), la Federazione internazionale delle leghe dei diritti umani (FIDH) e la Lega dei diritti umani (LDH) che hanno posto denuncia.
Nel caso di Bisesero, una regione ruandese in cui diversi ufficiali dell’esercito francese sono sospettati di aver deliberatamente permesso di sterminare diverse centinaia di sopravvissuti, i giudici non hanno ritenuto opportuno per ascoltare l’ex capo di stato maggiore delle forze armate di François Mitterrand e il suo ex vice.
Ma non ci arrenderemo, come ricordava il nostro presidente Paul Kagame che fermò il genocidio dei nostri, “les faits sont têtus”, con il passare del tempo stanno arrivando le testimonianze di molti francesi come Guollaume Ancel, che non riescono a dormire sopra l’appoggio del loro paese all’ultimo dei genocidi del XX° secolo. Il tempo del “not in my name” è sempre in agguato per coscienza dei giusti.
Giovedì 16 novembre al Centro Congressi della Fondazione Cariplo a Milano il presidente di Bene Rwanda, Francoise Kankindi interverrà al primo incontro internazionale per il lancio di GariwoNetwork, la rete che unirà tutti i soggetti impegnati nella diffusione del messaggio dei Giusti. Ottanta Giardini dei Giusti sono sorti in Italia e nel mondo grazie alla passione di amministratori pubblici, associazioni, insegnanti, semplici cittadini, sull’esempio del Giardino del Monte Stella di Milano, nato nel 2003 su proposta di Gariwo.
Bene Rwanda fa parte del GariwoNetwork ed è impegnata nel far conoscere la storia dei Giusti del Rwanda. Nel 1994, in Rwanda, nel giro di tre mesi, tra il 6 aprile e il 18 luglio, un milione di cittadini appartenenti all’etnia minoritaria Tutsi veniva sistematicamente trucidato dai criminali estremisti appartenenti alla maggioranza Hutu per la sola colpa di appartenere ad un’etnia diversa. Un omicidio ogni dieci secondi avveniva sotto gli occhi indifferenti della comunità internazionale. In questo contesto, molti obbedirono agli ordini ed uccisero, violentarono e torturarono, pochi coraggiosi, negando la logica del genocidio e mettendo a rischio la propria vita scelsero di opporsi all’orrore e di salvare altri esseri umani. E’ a loro a cui va il nostro tributo raccontando la storia di alcuni di loro e promuovendo la creazione dei Giardini dei Giusti In Rwanda.
Una candidata al Premio Nobel per la Pace, un direttore d’orchestra, unattore, una psicologa e una giornalista protagonisti di una narrazione sul conflitto in occasione della VI Edizione dell’Evento Corporate Annuale diBridge Partners® tradizionalmente incentrato su un tema trasversale alla cultura aziendale e alla managerialità.
Tutto è animato dal contrasto, e langue senza di esso. Giacomo Leopardi
È di scena il conflitto sul palcoscenico della vita, oggi e da sempre.
Il conflitto è quotidiano e inevitabile più o meno latente, più o meno intenso: in famiglia, sul lavoro, nelle istituzioni.
Vogliamo dare una lettura del conflitto come leva di progresso, di cambiamento e di innovazione. E vogliamo farlo indossando lenti diverse dal solito.
Il conflitto deve trasformarsi in una opportunità: se ci limitiamo a una accezione aziendale, trasformarlo da un costo a un investimento.
Come affrontarlo quindi e farlo evolvere in un’esperienza positiva, fonte di creatività e spinta verso l’innovazione?
Per il nostro evento corporate abbiamo riunito personaggi diversissimi e per molti aspetti affini, per raccontarsi, contaminare e coinvolgere la platea su un tema sempre attuale, i cui confini coincidono con quelli della condizione umana.
Il tutto condito dallo spirito di sempre: fare proposte, senza pretesa alcuna di esaustività. OSPITI RELATORI
Giovanna Leone – Psicologa e Professore Associato di Psicologia Sociale e della Comunicazione – Università La Sapienza di Roma. Stefano Lucarelli – Direttore d’orchestra e Fondatore della “Piccola Orchestra di Milano” Yolande Mukagasana – Scrittrice, autrice di un’autobiografia “La morte non mi ha voluta” e Candidata al Premio Nobel per la Pace nel 2010. Paolo Vergnani - Psicologo, Formatore e Membro del Consiglio direttivo del “Master in teatro e media per la formazione e comunicazione d’azienda” – Università Cattolica di Milano.
Yolande Mukagasana, scrittrice e saggista soppravvissuta al genocidio dei Tutsi in rwanda, incontrerà i ragazzi del Liceo Mamiani di Pesaro Venerdì 26 maggio ore 10.30 presso il Salone Metaurense in Piazza del Popolo.
Oggi, il 7 aprile, il Rwanda è immerso nella commemorazione del genocidio dei Tutsi. Da ventitré anni, tale data segna l’inizio di un lungo periodo di lutto e di riflessione.
Nel 1994 sono stati massacrati quasi un milione di uomini, donne e bambini – un settimo della popolazione. Nel Paese delle mille colline non c’è una particella, non un villaggio, non una famiglia che non sia stato toccato dal genocidio.
Tema Nazionale
Per fortuna il gusto di vivere insieme è ritornato grazie alle sedute collettive dei Gacaca, all’istituzione della Commissione Nazionale di Lotta contro il Genocidio e alla Commissione per l’Unità e la Riconciliazione. Tutte le istituzioni, dal governo all’Umudugudu (municipio) sono stati investiti nel rendere effettivo il mai più.
Il ricevimento del presidente Paul Kagame da Papa Francesco, che ha “implorato il perdono per i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all’odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica”, ha aperto una nuova era nei rapporti tra il Rwanda e la chiesa Cattolica, ed è stato un balsamo al cuore di tanti cristiani rwandesi che hanno visto i loro cari massacrati nelle chiese dove avevano cercato rifugio.
I rwandesi stanno investendo nel consolidare il progresso raggiunto e il 4 agosto le elezioni presidenziali confermeranno l’attuale leadership – che non solo ha fermato il genocidio, ma ha anche lanciato il Paese verso uno sviluppo salutato positivamente da tutte le parti.
Quando guardo il Paese dove sono nata, il Burundi dove i Tutsi sono massacrati nel totale silenzio della comunità internazionale, mi viene da gridare al mondo intero che la Convenzione internazionale per la prevenzione del genocidio non è da archiviare, ma deve anzi essere un appiglio a cui aggrapparsi per rendere il nostro mondo libero da massacri di innocenti.
Il gesto tanto atteso dai rwandesi è finalmente arrivato lunedì 20 marzo quando il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, Sua Eccellenza il Sig. Paul Kagame, Presidente della Repubblica di Rwanda.
Incontro Papa-Kagame
“Durante i cordiali colloqui sono state ricordate le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e il Rwanda. Si è apprezzato il notevole cammino di ripresa per la stabilizzazione sociale, politica ed economica del Paese. E’ stata rilevata la collaborazione tra lo Stato e la Chiesa locale nell’opera di riconciliazione nazionale e di consolidamento della pace a beneficio dell’intera Nazione. In tale contesto il Papa ha manifestato il profondo dolore suo, della Santa Sede e della Chiesa per il genocidio contro i Tutsi, ha espresso solidarietà alle vittime e a quanti continuano a soffrire le conseguenze di quei tragici avvenimenti e, in linea con il gesto compiuto da San Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000, ha rinnovato l’implorazione di perdono a Dio per i peccati e le mancanze della Chiesa e dei suoi membri, tra i quali sacerdoti, religiosi e religiose che hanno ceduto all’odio e alla violenza, tradendo la propria missione evangelica. Il Papa ha altresì auspicato che tale umile riconoscimento delle mancanze commesse in quella circostanza, le quali, purtroppo, hanno deturpato il volto della Chiesa, contribuisca, anche alla luce del recente Anno Santo della Misericordia e del Comunicato pubblicato dall’Episcopato rwandese in occasione della sua chiusura, a “purificare la memoria” e a promuovere con speranza e rinnovata fiducia un futuro di pace, testimoniando che è concretamente possibile vivere e lavorare insieme quando si pone al centro la dignità della persona umana e il bene comune”.
L’Islam, sunnita, è stato introdotto in Rwanda dai commercianti musulmani dalla costa orientale dell’Africa nel XVIII secolo. Dalla sua introduzione, l’Islam è stata una minoranza rispetto alla religione cattolica maggioritaria introdotta durante il periodo coloniale.
Durante il genocidio dei Tutsi in Rwanda, l’Islam non è stato tra gli obiettivi del genocidio, per cui i musulmani hanno potuto tenersi lontano dai massacri proteggendo i Tutsi della loro comunità. Infatti il posto più sicuro a Kigali durante il genocidio fu Biryogo, il luogo dove si riunì la maggior parte dei musulmani.
Moschea di Nyamirambo
Quando i genocidari Hutu invasero il loro quartiere Nyamirambo, gli Hutu musulmani si rifiutarono di collaborare dicendo di dare più importanza alla loro religione che alla loro etnia. Gli Hutu musulmani non salvarono soltanto la vita dei Tutsi musulmani, ma anche quella di migliaia di Tutsi cristiani.
L’Imam di Kigali ha chiesto pubblicamente di fermare i massacri e vietò ufficialmente alla comunità di partecipare al genocidio. Ovviamente non sono mancati alcuni incidenti in cui i Tutsi sono stati massacrati – in particolare l’attacco alla Grande Moschea di Nyamirambo, dove centinaia di musulmani si erano rifugiati. Qui inizialmente i profughi Hutu e Tutsi hanno resistito agli interahamwe lanciando pietre e frecce, ma quando la milizia Hutu ha attaccato con armi da fuoco è riuscita a entrare nella moschea e ha massacrato i profughi Tutsi.
In alcuni casi, gli Hutu avevano paura di cercare i Tutsi musulmani convinti che i musulmani e le loro moschee fossero protetti da una potente forza musulmana, amajini. Ad esempio, a Cyangungu, la moschea è stata bruciata ma gli aggressori sono fuggiti invece di distruggerla completamente con i musulmani dentro, poiché credevano che fosse pieno di jini. Quando un Hutu musulmano cadeva nella follia genocida, cercando di uccidere qualcuno, il resto della sua comunità gli chiedeva prima di prendere il Corano in mano e di giurare di rinunciare alla sua fede. Visto che nessun musulmano oserebbe violare il libro sacro, la maggioranza non partecipò ai massacri e per questo molti Tutsi si salvarono.
Tuttavia non mancano delle eccezioni. Il più famoso fu Hassan Ngeze, considerato una delle menti dell’ideologia anti-Tutsi, grande propagandista autore dei dieci comandamenti dell’umuhutu . L’altro è Yussuf Munyakazi, autoproclamato imam, condannato con l’accusa di genocidio dal Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda per il suo coinvolgimento nell’omicidio di migliaia di Tutsi nella Chiesa cattolica.
Dopo il genocidio, il Rwanda ha concesso all’Islam gli stessi diritti e libertà al cristianesimo e il presidente Paul Kagame ha ringraziato la Comunità Musulmana per la sua condotta esemplare nell’opporsi ai massacri salvando tanti Tutsi durante il genocidio del 1994.
GENESI E FORMAZIONE DELLA “CULTURA DEL GENOCIDIO”, RACCONTARE IL RWANDA DEL ‘94.
Progetto di consulenza scolastica a cura di Bene Rwanda Onlus
Introduzione
Conoscere ed educare ai diritti umani è sempre più un’esigenza sentita non solo a livello istituzionale internazionale ma anche e soprattutto all’interno della società civile. Numerosi programmi scolastici sono stati messi in atto, negli ultimi anni, per venire incontro ad esigenze specifiche della società contemporanea, che richiede una conoscenza sempre maggiore di fronte ai drammi del passato al fine di dotare i giovani degli strumenti necessari per distinguere, analizzare e valutare le tragedie del presente e prevenire quelle del futuro.
Educare ai diritti umani significa infatti anche educare alla legalità, alla cittadinanza attiva, alla democrazia, alla non-violenza, all’accettazione delle diversità culturali, alla pace e allo sviluppo sostenibile e rispettoso delle esigenze delle minoranze e dell’ambiente in cui esse vivono. Il dibattito sui diritti umani è dunque di fondamentale importanza e capace di aprire una serie di orizzonti di discussione in grado di investire diversi campi dello scibile. Esercizio di conoscenza e di partecipazione democratica al vivere moderno, il dibattito sui diritti umani deve avvalersi dei giusti strumenti teorici e dei corretti riferimenti storici.
Bene-Rwanda Onlus, associazione impegnata nella difesa dei diritti umani e nella conservazione della memoria delle tragedie umanitarie, in particolare quelle concernenti le popolazioni africane, intende proporre una pluralità di progetti educativi sulla “cultura dei diritti umani”, una lente d’ingrandimento su quello che troppo spesso, per interessi economici e politici, viene omesso o addirittura nascosto. Il caso specifico del genocidio del Rwanda, avvenuto nella primavera del 1994, sarà portato alla conoscenza degli studenti attraverso analisi storiche, giornalistiche e soprattutto attraverso la testimonianza diretta dei profughi. I consulenti della Onlus svilupperanno il dibattito fino ad arrivare all’attualità, ovvero fino ai processi tuttora in corso ai danni dei criminali, alle pratiche di estradizione, alla recente abolizione della pena di morte da parte del presidente rwandese Paul Kagame, premiato a Roma dall’Associazione “Nessuno Tocchi Caino”. I consulenti della Onlus si avvarranno inoltre di materiali audiovisivi concernenti in particolare il genocidio del Rwanda con proiezioni di film, documentari, reportage giornalistici ed esibizioni fotografiche.
Destinatarie finalità
I principali destinatari del progetto sono tutti gli studenti delle scuole primarie e secondarie, con corsi specifici e appropriati in rapporto all’età degli alunni e al programma didattico.
In particolare, per gli studenti delle scuole superiori, il progetto intende fornire strumenti generali di analisi sui principali concetti dei diritti umani per poter poi focalizzare l’attenzione sul genocidio che avvenne in Rwanda nel 1994. In questo modo si intende sviluppare negli alunni, attraverso lo studio di un caso specifico, la capacità di sapersi rapportare al dibattito generale dei diritti umani e della loro violazione nel mondo contemporaneo.
Metodologia
Le lezioni si baseranno sul coinvolgimento degli studenti che saranno portati a sentirsi protagonisti di una storia in divenire, quella appunto dei diritti umani. Agli studenti saranno offerti strumenti critici da esperti del settore, insegnanti e giornalisti; visioneranno inoltre filmati e fotografie mentre l’incontro con i sopravvissuti rwandesi rappresenterà il momento della scoperta e del contatto diretto con una realtà tragica e recente.
Strumenti
Materiale didattico e informativo messo a disposizione dalla Onlus Bene Rwanda
Materiale audiovisivo messo a disposizione dalla Onlus Bene Rwanda
Documentari e reportage giornalistici
Materiale fotografico della giornalista Veronica Spedicato
Docenti e consulenti
Francoise Kankindi, presidente Onlus Bene Rwanda
Stanley Safari, coordinatore Onlus Bene Rwanda
Veronica Spedicato, giornalista e docente
Yolande Mukagasana, Scrittrice sopravvissuta al genocidio dei Tutsi in Rwanda
I corsi
Tutti i corsi proposti dalla Onlus sono strutturati in moduli per permettere la definizione di percorsi didattici personalizzati che potranno essere concordati dai docenti con la consulenza dei nostri esperti. I corsi base proposti dalla Onlus potranno dunque essere arricchiti e modificati a seconda delle esigenze delle singole scuole. Nello specifico, è possibile strutturare il percorso didattico con l’aggiunta di uno o più moduli che prevedono la visione guidata di film e/o documentari col fine di ampliare le conoscenze in materia da parte degli alunni e prepararli a una più matura comprensione della tavola rotonda.
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